Per la rubrica “Intervista a…”, abbiamo pensato di affrontare un argomento di largo interesse, che ci accompagnerà per molti anni nel prossimo futuro: l’aggiornamento normativo in corso riguardante le acque destinate al consumo umano.
Lo abbiamo fatto coinvolgendo Camilla MARCHIAFAVA ed Enrico VESCHETTI, chimici del Dipartimento Ambiente e Salute - Reparto Qualità delle Acque dell’Istituto Superiore di Sanità, a cui abbiamo fatto alcune domande riguardanti la nuova Direttiva europea sulle acque destinate al consumo umano (DWD), che andrà a sostituire l’attuale 98/83/CE e porterà all’abrogazione del D.Lgs 31/2001, e sul nuovo decreto riguardante i materiali a contatto con l’acqua potabile, che entrerà in vigore al posto dell’attuale DM 174/2004. Abbiamo cercato di formulare le domande tenendo soprattutto conto dei quesiti che ci vengono spesso posti in proposito dagli operatori del settore.
Ad oggi non esiste un’armonizzazione a livello europeo dei requisiti sulla sicurezza igienica dei materiali che sono soggetti, pertanto, a disposizioni nazionali.
L’art. 10 dell’attuale Direttiva 98/83/CE (Drinking Water Directive, DWD) impone agli Stati membri (SM) di tutelare la salute umana per quanto riguarda le sostanze e i materiali che vengono a contatto con le acque destinate al consumo umano, ma demanda agli stessi l’attuazione di tale obbligo.
L’eccessiva flessibilità dell’art. 10 della DWD sotto il profilo giuridico ha perciò determinato l’esistenza di diversi sistemi di valutazione e approvazione a livello degli SM comportando una serie di problemi: innanzitutto per le imprese produttrici, che devono richiedere l’approvazione dello stesso oggetto più volte, con costi significativi, quando i requisiti igienico-sanitari per l’immissione in commercio nei diversi SM differiscono, ma anche per i consumatori europei ai quali vengono applicati standard di sicurezza non uniformi.
L’armonizzazione delle norme relative ai materiali a contatto con l’acqua potabile, insieme all’adozione dell’approccio basato sul rischio per il monitoraggio della qualità dell’acqua, alla revisione dell’elenco dei parametri, alla trasparenza delle informazioni per il consumatore sulle risorse idriche e il servizio idro-potabile e al miglioramento dell’accesso all’acqua è stato uno degli obiettivi principali che hanno guidato la rifusione della DWD.
Nella proposta di rifusione della DWD presentata nel 2018, come previsto dalla procedura legislativa ordinaria al Consiglio dell’Unione Europea (UE) e al Parlamento Europeo (PE), la Commissione Europea (CE) prevedeva che la necessaria armonizzazione dovesse avvenire nel quadro della legislazione del mercato interno, con l’emissione di un mandato di normalizzazione nell’ambito del regolamento sui prodotti da costruzione, CPR (Regolamento (UE) 305/2011) per definire le specifiche tecniche e i metodi per testare gli oggetti a contatto con l'acqua potabile ai fini della conformità ai requisiti in materia di igiene e di sicurezza.
Entrambi i co-legislatori hanno tuttavia espresso dubbi circa la relazione tra la DWD e il CPR, mettendo in evidenza rilevanti criticità in termini di campo di applicazione, requisiti di igiene applicabili, nonché di fattibilità di implementazione. Infatti, molti oggetti destinati al contatto con acqua potabile non rientrano nel campo di applicazione del CPR che copre solo i “prodotti da costruzione” (prodotti fabbricati al fine di essere incorporati o assemblati in modo permanente negli edifici e nelle altre opere di ingegneria civile). In un sistema idropotabile il CPR consentirebbe perciò di regolamentare solo i prodotti da costruzione incorporati o assemblati in modo permanente nella rete di distribuzione a valle del trattamento delle acque. Pertanto, questo approccio è inadeguato a garantire la sicurezza della intera filiera idro-potabile (dalla captazione al rubinetto) rispetto al rischio associato a materiali e oggetti, limitandosi a un segmento ridotto e questo è contrario alla filosofia della rifusione (analisi di rischio sulla filiera). Inoltre, le norme nel contesto del CPR definiscono solo metodi di valutazione e non fissano i requisiti igienici rispetto ai quali gli oggetti sono valutati per garantire la sicurezza dei consumatori.
Sulla base della proposta della proposta della CE, il PE e il Consiglio dell’UE hanno condotto negoziati raggiungendo un accordo durante il quinto trilogo del 18 dicembre 2019. La nuova DWD, che presumibilmente entrerà in vigore all’inizio del 2021, comprenderà infatti un intero articolo, l’art. 11, dedicato ai requisiti minimi di igiene per i materiali a contatto con le acque destinate al consumo umano che pone le basi per armonizzazione a livello dell’UE. Per un approfondimento delle diverse fasi della rifusione della DWD accedere al link:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/HIS/?uri=CELEX:52017PC0753&qid=1606581560491.
L’art. 11 prevede che il quadro generale di riferimento per l’armonizzazione della normativa sui materiali ed oggetti a contatto con l’acqua destinata al consumo umano sarà definito mediante atti di esecuzione e atti delegati che dovranno stabilire:
L’attuale sistema di autorizzazione previsto dal DM 174/2004 ai fini dell’immissione in commercio di materiali e oggetti destinati al contatto con acqua destinata al consumo umano offre una limitata sicurezza e trasparenza, infatti:
Questo è uno dei punti critici che hanno determinato l’avvio del processo di rifusione del Decreto.
A tal fine nel 2019 è stato costituito, sotto l’egida del Ministero della Salute, un Tavolo tecnico che prevede la partecipazione di tutte le parti interessate, con il compito di modificare e migliorare l’attuale normativa nazionale concernente i materiali e oggetti a contatto con le acque destinate al consumo umano, con particolare riguardo all’introduzione di un sistema di autorizzazione degli stessi basato su una valutazione di conformità di parte terza (certificazione), in linea con le più recenti indicazioni dell’OMS, venendo anche incontro alle esigenze dei gestori idro-potabili, che sono gravati da onerose attività e responsabilità connesse alla verifica dell’assenza dei rischi igienico-sanitari associati a materiali e sostanze approvvigionati per la gestione idrica.
I principali attori del sistema di autorizzazione nazionale saranno:
Gli organismi di certificazione e i laboratori di prova dovranno essere accreditati e designati dall’Autorità centrale. Questo approccio è in linea con la procedura di valutazione della conformità eseguita da organismi di valutazione di conformità, alla base del sistema autorizzativo dei materiali previsto dalla proposta di rifusione della nuova DWD.
La proposta prevede che nella scelta della procedura di valutazione della conformità la CE possa considerare come possibile punto di partenza il sistema +1 di valutazione e verifica della conformità delle prestazioni di cui all’allegato V del regolamento sui prodotti da costruzione (CPR) o una procedura sostanzialmente equivalente che tuttavia non sia discriminatoria.
Tutte le parti che costituiscono un oggetto utilizzato per la realizzazione, ristrutturazione o riparazione di impianti di captazione, trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano devono essere fabbricate a partire da materiali compatibili con le caratteristiche dell’acqua con cui vengono a contatto e che, in condizioni normali o prevedibili d’impiego e di messa in opera, nel tempo:
A tal fine l’Italia con il DM 174/2004, prescrive all’art. 5 l’osservanza di “Liste positive” ovvero elenchi di materiali o sostanze per la fabbricazione dei materiali, che possono essere utilizzati a contatto con le acque destinate al consumo umano, stabilendo negli allegati al decreto la composizione ed i livelli di impurezze ammessi dei diversi tipi di materiali (all. I per i materiali metallici, all. II per i materiali a base di leganti idraulici, smalti porcellanati, ceramiche e vetri, all. III per plastiche e gomme).
In alcuni casi, il decreto prevede che possono essere utilizzati alcuni materiali (acciai inossidabili, smalti porcellanati, ceramiche, vetro) e sostanze per la fabbricazione di materiali (additivi minerali, aggiunte organiche, monomeri, sostanze di partenza, additivi, coloranti, elastomeri) ammessi dalla normativa sui materiali ed oggetti destinati al contatto con alimenti (MOCA), con le condizioni, limitazioni e tolleranze di impiego ivi previste qualora nella suddetta legislazione non se ne vieti espressamente l’uso in contatto con acqua.
La necessità di aggiornare le suddette liste positive nazionali, scadute nel 2012, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e del progresso tecnologico, che nel frattempo ha determinato l’ingresso sul mercato di “nuovi” materiali/sostanze e i diversi casi di sovrapposizione con le liste positive dei MOCA, oltre ad alcuni altri limiti del decreto dal punto di vista della prevenzione sanitaria, hanno determinato l’avvio del processo di rifusione del decreto.
Tra gli obiettivi del Tavolo tecnico costituito per la rifusione del decreto, quello di lavorare ad una proposta che sia coerente con quella contenuta nell’art. 11 della nuova DWD, dedicato ai requisiti minimi di igiene per i materiali a contatto con le acque destinate al consumo umano.
La proposta dell’art. 11 trae origine dall’approccio iniziato nel 1998 a livello della Commissione Europea (CE) per la creazione dello Schema unico europeo di valutazione e certificazione di materiali e oggetti in contatto con l’acqua (EAS, European Acceptance Scheme, PDF)
e interrotto dalla stessa CE, senza di fatto alcuna alternativa intorno al 2007, di cui molti Stati Membri hanno reiteratamente richiesto la ripresa. Tale attività aveva comunque, già nel 2004, contribuito a definire alcune liste positive di materiali che l’Italia fece proprie nel DM 174/2004.
L’art. 11 introduce un sistema autorizzativo dei materiali fondato su liste positive europee di sostanze di partenza, composizioni, costituenti autorizzati ai fini della fabbricazione di ciascun gruppo di materiali (organici, cementizi, metallici, smalti, ceramiche o altri materiali inorganici di cui è autorizzato l’uso nella fabbricazione di materiali o oggetti a contatto con acqua destinata al consumo umano) ivi compresi, se del caso le condizioni per il loro utilizzo e i limiti di migrazione, stabilite tramite atti di esecuzione e gestite a livello europeo sotto l’egida della CE. Le prime liste positive europee dovranno basarsi, tra l’altro, sulle liste positive nazionali dei diversi Stati membri (SM), su altre disposizioni nazionali vigenti e sulle valutazioni dei rischi all’origine di tali elenchi nazionali.
L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), avrà l’incarico di riesaminare le liste positive nazionali trasmesse dagli SM e di fissare delle date di scadenza che tengono conto della pericolosità delle sostanze, della qualità e dell’aggiornamento delle valutazioni del rischio presentate dagli SM.
Tenuto conto del parere dell’ECHA, la CE rivedrà e aggiornerà periodicamente, ove necessario, gli atti di esecuzione in linea con i più recenti sviluppi scientifici e tecnologici. La prima revisione dovrà essere completata entro 15 anni dall’adozione della prima lista positiva europea.
Ai fini dell’inclusione o della rimozione dalle liste positive delle sostanze di partenza, composizioni o costituenti, gli operatori economici o le autorità competenti dovranno presentare una domanda all’ECHA.
In attesa dell’adozione degli atti di esecuzione di cui sopra, gli SM hanno la facoltà di mantenere o adottare misure nazionali in materia di requisiti minimi specifici di igiene per i materiali, a condizione che tali misure rispettino le norme previste dal trattato sul funzionamento dell'unione europea (TFUE).
A seguito dell’iniziativa “Right2Water” con la quale un milione di cittadini europei, nel 2012, esortava la Commissione europea a proporre una normativa che sancisse il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari e la loro fornitura in quanto servizi pubblici fondamentali per tutti, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica a livello dell’Unione e nel 2016 ha concluso una valutazione sull’adeguatezza e l’efficacia della regolamentazione (REFIT) in merito alla Direttiva 98/83/CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. Da tale esercizio è emerso che alcune disposizioni contenute in tale direttiva andavano aggiornate. In particolare, sono state individuate quattro aree suscettibili di miglioramento, ovvero:
Dall’iniziativa “Right2Water” è inoltre emersa la necessità di appianare la disparità di trattamento di una parte della popolazione, in particolare dei gruppi emarginati, per quanto attiene il diritto all’accesso all’acqua potabile, in ottemperanza a quanto stabilito tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 per lo sviluppo.
Infine è emersa una generale mancanza di sensibilizzazione sulle perdite di acqua associate ad investimenti insufficienti a garantire la corretta manutenzione delle infrastrutture idriche.
Per quanto attiene la revisione dei parametri e dei valori di parametro la Commissione europea ha affidato all’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS il compito di accertare se l’elenco contenuto nella Direttiva 98/83/CE fosse ancora valido alla luce dei recenti progressi tecnico-scientifici. A seguito di un’approfondita analisi l’OMS ha proposto, in sintesi, le seguenti modifiche:
Molti dei suggerimenti avanzati dall’OMS sono stati accolti, integralmente o con modifiche più o meno sostanziali, a seguito della successiva discussione della nuova proposta di direttiva nell’ambito del Parlamento UE e del Consiglio UE.
La normativa nazionale attualmente in vigore (DM 174/2004) regolamenta le caratteristiche dei materiali e degli oggetti che possono essere impiegati nei nuovi impianti fissi di captazione, trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano o nella riparazione di quelli esistenti. Sono oggetto di regolamentazione tutti i materiali metallici, plastici, a base di leganti idraulici, gli smalti porcellanati, le ceramiche, il vetro, le gomme naturali e sintetiche che compongono tubazioni, raccordi, guarnizioni, valvole o altri accessori da installare negli impianti sopra elencati. Le imprese che producono oggetti appartenenti a questa categoria sono tenute a controllare la rispondenza ai requisiti elencati nella norma e a dimostrare di aver adeguatamente provveduto ai controlli e agli accertamenti necessari.
Per quanto attiene i prodotti che non rientrano nel campo di applicazione del DM 174/2004 e i reagenti chimici utilizzati nella filiera di trattamento, i gestori acquedottistici che li acquistano sono comunque tenuti a verificare la loro rispondenza ai dettami dell’art. 9 del D.lgs. 31/2001 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. In base a tale articolo nessuna sostanza o materiale introdotti nel settore acquedottistico devono essere presenti nelle acque destinate al consumo umano in concentrazioni superiori a quelle consentite per il fine per cui sono impiegati e non debbono causare una riduzione diretta o indiretta della tutela della salute umana (ad esempio a seguito del rilascio di impurezze in essi contenute).
L’equivalenza delle due attestazioni non è possibile, tenuto conto delle diverse finalità e del quadro normativo di riferimento.
Infatti, la dichiarazione di conformità di cui al capo I articolo 2 comma 3 del DM 174/2004 è un requisito cogente ai fini dell’immissione in commercio di oggetti destinati a venire a contatto con acqua destinata al consumo umano da parte delle imprese che li producono, con l’obiettivo di attestare l’avvenuto controllo delle disposizioni previste dal decreto stesso e si applica agli oggetti utilizzati per la realizzazione, ristrutturazione o riparazione di impianti fissi di captazione, trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano, di cui al D.lgs. 31/2001.
La “certificazione MOCA” è una certificazione volontaria di prodotto a cui il produttore accede per scelta volontaria ed è basata su un’attività di valutazione della conformità di terza parte con l’obiettivo di dimostrare a tutte le parti interessate l’applicazione delle buone pratiche di fabbricazione (GMP) nella fabbricazione di materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA) e il rispetto dei requisiti di sicurezza e conformità previsti dalla normativa del settore dei MOCA.
La normativa di riferimento che disciplina i MOCA, comprende un vasto e articolato insieme di atti giuridici, in continua evoluzione, composto da disposizioni generali armonizzate a livello comunitario (applicabili a tutti i settori e a tutte le fasi della produzione, lavorazione e distribuzione) ma anche da alcune disposizioni, emanate a livello nazionale rimaste valide per quanto non coperto dalle disposizioni armonizzate.
In particolare, il Regolamento (CE) n.1935/2004 (norma quadro) stabilisce che tutti i materiali ed oggetti devono essere prodotti conformemente alle buone pratiche di fabbricazione e, in condizioni d’impiego normale o prevedibile, non devono trasferire agli alimenti componenti estranei tali da:
Questo regolamento, tuttavia, in accordo a quanto riportato all’articolo 1 comma 3 paragrafo c) non si applica agli impianti fissi pubblici o privati di approvvigionamento idrico.